(di Giuseppe Cotturri)

 

Prima di trattare brevemente il tema assegnatomi, voglio fare un cenno al dibattito di questa mattina. A sostegno della relazione di Lipari, che ci propone un rovesciamento radicale nella sfera pubblica ("coltivare la gratuità del doveroso"), filosofi e giuristi hanno richiamato "tracce" antiche o premoderne della cultura del dono. Per quanto suggestivi siano questi richiami, non vorrei circondassero la nostra attuale tensione come di un'aura da "cercatori dell'Arca perduta". In questa luce, è fin troppo invitante l'occasione, per chi come De Rita pratica un convinto "realismo" politico, di invitare a valutare la brutalità e disparità dei rapporti di forza del mercato capitalistico globale. Le enormi differenze di ricchezza e potere privati - De Rita usa con curioso pudore la parola "asimmetrie" - non possono essere mai interamente superate: è la "naturale" spinta alla differenziazione sociale che sempre le riproduce; al massimo la politica, che è (solo) mediazione, può provare ad addolcirle. Agli occhi di questo realismo, il radicalismo etico - mi permetto di chiamare così la posizione di Lipari - si colloca da solo in una sfera utpica. Cioè fuori dal mondo.

 

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